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Il passito principe dell'enologia Veneta
Una vallata che sin dai tempi della Roma imperiale ha dato lustro all’enologia è sicuramente la Valpolicella, porta di Verona e spartiacque naturale tra la città scaligera e le Prealpi.
Un territorio dalla felice collocazione geografica e dalle caratteristiche climatiche decisamente adatte alla coltivazione delle uve, tale che da qui nasce appunto l’Amarone della Valpolicella, passito di livello e ampia riconoscibilità.
Insieme a San Pietro in Cariano, Fumane, Pescantina e Sant’Anna d’Alfaedo gli altri comuni valpolicellesi pospongono al loro toponimo il nome della valle: sono Sant’Ambrogio, Marano e Negrar, forse il più conosciuto del consesso.
Geograficamente parlando ci troviamo nel Veneto di sud-ovest, a metà strada tra l’Adriatico e il Lago di Garda, in quella Lessinia che, con i suoi monti, è una meta turistica di particolare pregio.
Su queste pagine abbiamo già incontrato il mondo enologico della Valpolicella, parlando vagamente di un vino – l’Amarone appunto – che è spesso considerato secondariamente rispetto al Recioto.
Proprio nelle differenze tra Amarone e Recioto sta tutta l’importanza di narrare la storicità del primo dei due che, contrariamente a quanto la sua fama lascerebbe intendere, è invece un passito con meno di un secolo di storia.
Fu infatti nel 1936 che Adelino Lucchese, capocantina della Cantina Sociale Valpolicella, ritrovò casualmente una botte di Recioto lasciata fermentare più a lungo del dovuto. Il risultato fu clamoroso: dal Recioto era nato un passito ancor più incredibile, un vero e proprio Amarone, così come venne chiamato in un tocco di pura genialità letteraria.
Eppure alcune fonti asseriscono che un amaro, diverso dal Recioto, sarebbe stato servito sulle tavole venete già in epoca romana: ne parla Catullo nel I secolo a.C. e lo richiama Cassiodoro nel V secolo d.C.
La prima messa in vendita dell’Amarone della Valpolicella risale al 1938, ma la sua fama si estende solo nel secondo dopoguerra, precisamente nel 1953. Da lì in poi, una cavalcata che l’avrebbe portato nelle cantine di tutto il mondo.
La produzione dell’Amarone della Valpolicella può (anzi deve, secondo il disciplinare della DOCG) avvalersi solo delle seguenti uve:
Sono ammessi inoltre vitigni non aromatici, rigorosamente a bacca rossa e prodotti nella provincia di Verona con un peso totale del 15%, ma con massimo il 10% tra uno e l’altro.
La produzione dell’Amarone della Valpolicella è ovviamente legata ai rigidi paletti posti dalla Disciplinare DOCG.
Si parte innanzitutto dalla coltivazione delle uve, che deve avvenire unicamente su terreni collinari nei quali la densità del vigneto non può scendere sotto i 3300 ceppi per ettaro, rigorosamente a spalliera o a pergola veronese (ovvero con pali di testata e fili di ferro per sostenere i grappoli).
Una volta raccolte, le uve devono essere lasciate appassire in maniera naturale con un costante ricambio d’aria, per un periodo di 4 mesi: in questo modo viene meno il contenuto d’acqua ma non gli zuccheri, che anzi si valorizzano ulteriormente.
La vinificazione inizia a dicembre, e a questa fa seguito un invecchiamento di almeno due anni che inizia dal 1 gennaio dell’anno successivo. La vinificazione, l’appassimento e l’invecchiamento devono avvenire unicamente nei sette comuni della Valpolicella riconosciuti dalla disciplinare.
L’Amarone della Valpolicella DOCG è un vino che va servito a una temperatura ambiente, tra i 18 e i 20 °C.
Benché lo si possa consumare senza particolare difficoltà – e anzi con una certa apprezzabilità – durante tutto l’anno è sicuramente un vino che da il meglio di sé in abbinamenti autunnali e invernali.
In questo periodo infatti la cucina, dopo la leggerezza estiva, torna ad arricchirsi di preparazioni e ricette più corpose, particolarmente gli arrosti e i brasati, le carni in salsa che accompagnano le prime giornate fredde e portano un po’ di tepore in tavola.
Favoloso con i secondi piatti di carne, si può però servire con successo anche abbinandolo a primi con sughi di carne e zuppe strutturate, come la veneta pasta e fasoi, ovvero impiegandolo addirittura nella preparazione dei piatti: è il caso del risotto all’Amarone.
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