Quello del Canavese è un territorio storicamente votato alla produzione agroalimentare, con una particolare predilezione per le uve. In termini meramente geografici è un’area estesa, che occupa parte dei territori delle province piemontesi di Biella, Torino e Vercelli.
Grande quasi il doppio di Roma, questo territorio che ha per capoluogo storico Ivrea (la città di Olivetti) è favorita dalla presenza di numerosi corsi d’acqua e laghi, che contribuiscono all’ottima resa di queste terre così rigogliose.
Alto Canavese, Eporediese e Basso Canavese sono le sue tre macrozone, che si distinguono per vicende storiche e territori: più montagnosi nell’Alto – che confina con la Valle d’Aosta – e più pianeggiante il Basso, tra San Giusto e Chivasso.
Il Canavese presenta numerose zone coltivate a uva, ma sono soltanto tre i vini che derivano storicamente da questa zona, tutti caratterizzati da una elevatissima qualità e da un profilo organolettico originale.
Stiamo parlando del Canavese DOC (rosso, bianco, bianco spumante, rosato, rosato spumante, Barbera e Nebbiolo), dell’Erbaluce di Caluso DOCG (rigorosamente bianco) e del Carema DOC, un rosso che come suggerisce il nome è prodotto unicamente nel comune omonimo del torinese.
Mentre il Canavese è un vino “autoctono” in senso più ampio, meritano sicuramente attenzione il Carema con le sue pergole e l’Erbaluce, che risale al Seicento, durante il ducato savoiardo di Carlo Emanuele I. Curiosità: durante gli anni d’oro dell’industria italiana, il Carema era il “vino degli Olivetti”, che ne facevano regolarmente omaggio a clienti e fornitori, incrementandone così la conoscenza in Italia e all’estero.
Il frutto della luce. Possiamo definire così il vitigno Erbaluce, il cui nome deriva dai riflessi lucenti che i singoli acini assumono in autunno, quando il sole ha compiuto la sua “magia”.
Da queste uve si produce un vino giallo paglierino, dai riflessi vagamente dorati, dal sapore fresco che si adatta a numerosi piatti della tradizione biellese (e non solo).
Caluso può essere definito un “borghetto di periferia” nella grande area che circonda Torino. Con i suoi settemila abitanti, ha un aspetto particolarmente piacevole e un’atmosfera rilassante.
Sulle sue collinette si coltivano ancora oggi le uve Erbaluce, dalle quali si ottiene un meraviglioso Passito. Sono proprio queste terre, così ben esposte, a dare la massima espressione qualitativa all’Erbaluce, vino che sta vivendo oggi una seconda giovinezza.
Caluso, in passato, ha avuto però ben altri traini economici rispetto al vino: per molti anni ha ospitato sedi italiane di importanti realtà produttive mondiali, dalla stessa Olivetti di Ivrea fino alla General Electric, una delle prime realtà mondiali dell’energia elettrica.
La tradizione enogastronomica del Piemonte è legata a doppio filo alle abitudini e alle produzioni sabaude e alle influenze francofone che le sono arrivate nel corso dei secoli dalle terre transalpine.
L’abbinamento dell’Erbaluce, sia come Passito che come Spumante, risulta in ogni caso piuttosto facile poiché il vino bianco prodotto da queste uve ben realizza la sua massima aspirazione con specifici piatti. Lasciando da parte per un istante i primi e i secondi piatti, dei quali il Piemonte fa bello sfoggio di sé nei manuali e negli eventi enogastronomici, possiamo dire con una certa sicurezza che questo vino si apprezza particolarmente sotto forma di accompagnamento ad aperitivi e antipasti.
Che siano dei cubetti di formaggio di zona, dei taglieri di salumi o delle delicate bruschette al tartufo, difficilmente l’Erbaluce farà una cattiva figura. Se però il desco è più ricco, si può decidere di prolungarne la presenza in tavola – anche grazie alla bassa alcolicità e alla buona acidità – per servirlo con dei piatti a base di pesce. Qualche consiglio? Linguine alle vongole veraci, grigliata di gamberi, frittura di pesce azzurro.
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