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Il vino isolano nelle terre delle miniere
La Sardegna è un’isola dove la storia si stratifica in incredibili tesori: non solo architettonici e culturali, ma anche enogastronomici.
Il Carignano del Sulcis, prodotto nella zona mineraria dell’isola dei nuraghi, ha un’areale di produzione che corrisponde indicativamente alla parte sud-ovest della provincia cagliaritana, tra Zinnigas, Portoscuso, Sant’Antioco e Carloforte.
Un’isola, le sue isole e un’entroterra dove il forte vento di Maestrale rinfresca, alimenta e spazza via certezze. E dove il vino è il grande protagonista.
Il Carignano del Sulcis nasce dall’apparente contraddizione tra la sua uva base e il territorio in cui si trova.
L’uvaggio Carignano è infatti poco adatto alla coltivazione marittima, poiché particolarmente sensibile allo iodio, ma da queste parti l’unione di fattori concorrenti ha dato vita a una produzione qualitativamente e quantitativamente significativa.
Sono ben 1700 gli ettari di vigneti sardi coltivati con queste bacche rosse, dal colore molto scuro e dalla forma tipicamente tondeggiante, protette da una fogliatura ampia e dalle sfumature verde chiaro-brillante.
Dai grappoli si ricava molta uva, ed è per questo che sin dai tempi antichi il Carignano ha avuto molto successo in tutta Europa, essendo un’uva sulla quale si può contare.
Pur particolarmente intaccabile dalla filossera, il Carignano del Sulcis gode di favorevoli condizioni pedoclimatiche che, soprattutto a Calasetta (Sant’Antioco), impediscono lo svilupparsi dell’insetto che, a fine Ottocento, mise in ginocchio la produzione enologica di gran parte d’Europa, Italia compresa.
Il 97% delle coltivazioni di Carignano si trova, secondo uno studio del 2012, nella regione Sardegna, particolarmente sulle isole di Sant’Antioco e San Pietro. La percentuale rimanente della produzione italiana è concentrata nel Lazio, particolarmente la zona di Cerveteri, dove il clima è molto simile.
Nel mondo è diffuso in Francia, Spagna, California, Missouri, Texas, Messico, Cile e Australia del sud.
Grande produttività, buon valore eppure poco considerata. Nemo propheta in Patria, si potrebbe dire del Carignano, un’uva che addirittura veniva espiantata dai territori originali per fare spazio a qualità meno produttive, ma considerate migliori.
La storia di quest’uva, e dunque del vino che se ne ricava, è decisamente antica e si può far coincidere con due momenti principali: l’arrivo dei Fenici in Sardegna e lo strapotere della corona d’Aragona nel corso del Quattrocento e Cinquecento.
Furono infatti i monarchi della Reconquista, che controllavano buona parte del Sud Europa, a esportare quest’uva ovunque, sfruttando la similitudine tra il clima aragonese e quello provenzale, occitano, sardo e del Mezzogiorno in generale.
Un’uva da taglio, almeno così è stata considerata per larga parte del Novecento, che oggi supera pregiudizi di forma e sostanza per rendere giustizia a un’uva capace di buoni risultati se trattata con rispetto e attenzione.
Ed eccoci arrivati al momento più gustoso di questi incontri settimanali, quello dell’abbinamento cibo-vino.
Se oggi siamo in Sardegna, sicuramente la mente spazia nelle innumerevoli proposte della cucina isolana, capace di offrire molte specialità di pesce ma avere un contraltare dell’entroterra altrettanto significativo.
Dalle carni ai formaggi, infatti, sono tante le materie prime e le ricette che danno il meglio di sé quando abbinate al Carignano del Sulcis, dall’immancabile porcheddu arrostito all’agnello con i carciofi.
Buonissimo anche l’incontro con la zuppa galluresa, una specialità a base di pane carasau, sugo di carne e pecorino o con i bucatini al ferretto nuoresi, conditi con sugo di pecora e spolverizzati con il Pecorino.
Malloreddus, pecora in cappotto e sa corda, l’intreccio delle interiora d’agnello allo spiedo. Buon appetito a tutti!
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