Una macrozona collinare, immersa nella parte più a nord dell’Emilia Romagna al confine tra Lombardia e Liguria: ecco i Colli Piacentini.
Qui ritroviamo un’atmosfera geografica che è da sempre l’incubatrice perfetta dei grandi vini. Sappiamo infatti da fonti storiche affidabili che la presenza della vite nella zona di Piacenza è accertata già nel II millennio a.C.
Contribuiscono certamente la presenza di acqua, la buona esposizione termica e il fatto che queste terre sono riparate da correnti molto forti, soprattutto quelle di montagna. Particolarmente ricche in questo senso sono Val Trebbia e Val d’Arda.
Qui si trovano alcuni dei borghi e delle mete più belle d’Italia, come Castell’Arquato e Bobbio, dove la storia e il mondo dell’enologia si incontrano.
Non uno, ma una serie. Nei Colli Piacentini il vino è di casa, ma difficilmente si troverà il “vino dei Colli Piacentini” con questa specifica denominazione.
Piuttosto, è possibile fare una divisione abbastanza netta tra le Denominazione di Origine Controllata (ben diciotto in tutto) che sono state riconosciute dagli enti preposti negli anni Settanta, Ottanta e negli ultimi anni.
I più tradizionali sono il Gutturnio, il Trebbianino e il Monterosso. A questi si sono aggiunti la Barbera, la Bonarda e il Sauvignon, insieme al Pinot, l’Ortrugo e la Malvasia.
Più di recente, sono entrati nel gotha dei vini piacentini il Cabernet Sauvignon, il Vin Santo e il Pinot spumantizzato.
Bacca nera, ricchissima in tannini e polifenoli: è l’Uva Croatina, forse la più rappresentativa dell’enologia dei Colli Piacentini.
Da quest’uva che ama i terreni argillosi e profondi, che rende moltissimo ma solo se nelle condizioni migliori, si produce il Gutturnio. Questo vino, il primo della provincia di Piacenza a entrare nelle DOC italiane, vale da solo quasi un quarto dell’intera produzione della zona di appartenenza.
Il Gutturnio è un vino dal colore rosso brillante, dal sapore secco, che viene prodotto con un sapiente mix di Croatina e Barbera, per valorizzarne la storia, nata addirittura – secondo gli storici – con Lucio Calpurnio Pisone, padre di Calpurnia e suocero di Giulio Cesare.
Mentre si indugia nell’assaggio del Gutturnio, della Bonarda o del buon Novello locale, tutt’intorno a noi appaiono – punteggiando qua e là il panorama – i borghi e le città d’arte dei Colli Piacentini.
È una zona piacevolmente tranquilla, decisamente rilassante e che si scopre al meglio nei primi mesi d’autunno, quando il ribollir dei tini profuma le strade e colora i comuni di celebrazioni per l’imminente vendemmia.
Imperdibile è la visita al Castello di Vigoleno (Vernasca), un complesso fortificato ottimamente conservato che risale addirittura al X secolo, nel quale oggi abitano solo sette persone. Poco più in là troviamo la città d’arte di Castell’Arquato, anch’esso borgo medievale nel quale respirare il profumo di antichissime storie e tradizioni. Verso la Val di Nure incontriamo Grazzano Visconti: il borghetto del XII secolo fu restaurato a inizio Novecento da Giuseppe Visconti (padre del celebre regista Luchino) e riportato al suo antico splendore, facendolo divenire un formidabile luogo di attrazione turistica.
Dalla Val Nure alla Val Trebbia, si attraversa il Passo del Penice per giungere a Bobbio, il borgo di San Colombano. Dall’Irlanda all’Emilia-Romagna, il religioso viaggiò in lungo e largo per l’Europa evangelizzando le popolazioni che incontrava. La sua vita di continuo girovagare lo ha reso il santo patrono dei motociclisti.
La zona dei Colli Piacentini può contare, oltre che su una formidabile tradizione enologica, anche su una ragguardevole produzione di prodotti tipici.
Particolarmente si apprezzano i salumi di Piacenza e dintorni, come la coppa (spesso chiamata “lonza” o “lonzino” nel Centro Italia, per distinguerla dalla coppa di testa), la pancetta e il salame; questi salumi si caratterizzano per il loro tenore salino più leggero e per un sapore delicato, che viene accentuato dall’uso ridotto di sale e un buon apporto di spezie, aglio e vino.
I salumi piacentini sono un ottimo abbinamento con i vini della zona, rossi o bianchi che siano. La Bonarda si valorizza ad esempio con i bolliti e gli insaccati, come il cotechino e lo zampone, ed è indicata per una cucina tipicamente territoriale e apparentemente più “pesante”.
La Malvasia può accompagnare le carni rosse, i primi con sughi di carne o brodo o anche con un tagliere di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, magari servito insieme a del miele.
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