L’areale di produzione storico del Fiano di Avellino, uno dei vini più celebri e apprezzati dell’enologia campana, si estende oggi in circa 28mila ettari. È qui che il disciplinare riconosce l’ambito della Denominazione di Origine Controllata e Garantita.
La zona include il parco regionale del Partenio, la Piana di Serino, il Terminio-Tuoro e l’avellinese nel suo complesso. Si tratta in tutto di ventisei comuni: oltre al capoluogo provinciale Avellino vi sono comuni più o meno conosciuto come Mercogliano, Monteforte Irpino, Parolise, San Potito Ultra e Montefalcione.
Il territorio ha caratteristiche di media collina, comprese tra i 300 e i 600 metri di quota e si caratterizza per un terreno prevalentemente argilloso. Quest’ultimo è molto utile per la coltivazione della vite poiché permette una migliore redistribuzione del carico idrico anche nei mesi siccitosi, soprattutto quelli estivi nei quali le piogge sono scarse.
Il nome latino dell’uva di Fiano d’Avellino è Vitis Apicia, eppure la sua origine non è da ricercarsi nei terreni della Capitale, bensì all’ombra del Partenone.
I Greci, durante la dominazione del Mediterraneo, espansero la loro cultura del vino e della vite anche in Italia: le prime viti furono coltivate a Lapio, da dove poi si sarebbero espanse in tutta la zona circostante.
Le prime tracce a parlare del Fiano sono più recenti, e risalgono al XII secolo, quando Federico II di Svevia – che allora risiedeva a Foggia – fece portare alla corte imperiale il vino di Avellino, o meglio di Lapio.
Nell’Ottocento il Fiano diviene uno dei vini più prodotti e diffusi d’Italia, superano i cento milioni di litri venduti. A fine secolo è la fillossera a ridimensionare enormemente la produzione, che però risale già nei primi decenni del Novecento e che si stabilizza dopo il secondo periodo bellico, quando il vino ottiene l’ambita DOC e successivamente la DOCG.
Il Fiano di Avellino può essere prodotto attraverso l’impiego di quattro uve:
Vitigno a bacca bianca, il Fiano ha acini medi in un grappolo comunque relativamente piccolo. Nata nelle Alpi Apuane e diffusasi in tutto il Meridione d’Italia, l’uva deve la sua fama enologica a Carlo II d’Angiò, che la fece impiantare diffusamente in Puglia.
Il primo disciplinare del Fiano di Avellino, con il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata risale a un DPR del 1978. Questo è stato emendato e modificato complessivamente altre 3 volte: la prima nel 2003 per la concessione della Denominazione di Origine Controllata e Garantita, la seconda nel 2011 e la terza nel 2014.
Per fregiarsi di questo nome il vino deve avere alcune caratteristiche fondamentali, come l’uso di uva Fiano per almeno l’85% del peso (come già citato). Sono inoltre specificati i comuni nei quali può avvenire la produzione, che sono: Avellino, Lapio, Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato, S. Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Parolise, S. Potito Ultra, Candida, Manocalzati, Pratola Serra, Montefredane, Grottolella, Capriglia Irpina, S. Angelo a Scala, Summonte, Mercogliano, Forino, Contrada, Monteforte Irpino, Ospedaletto D’Alpinolo, Montefalcione, Santa Lucia di Serino e San Michele di Serino.
Le condizioni ambientali non devono essere alterate e mantenere la tradizionalità del luogo di provenienza, così come gli impianti non possono discostarsi da quelli generalmente impiegati. Non è prevista la forzatura, né è ammessa una deroga (salvo che per annate favorevoli) nella quantità massima di produzione.
Il titolo alcolometrico deve essere almeno all’11,00% vol. per l’uva e dell’11,50% vol. per il vino finito. Il prodotto finito può essere indicato da due denominazioni: “Fiano di Avellino DOCG” e “Apianum“, ovvero la denominazione latina classica usata in accompagnamento al nome commerciale.
Il Fiano di Avellino DOCG è un vino che va servito a una temperatura abbastanza fredde, tra gli 8 e i 10 °C.
I suoi abbinamenti tradizionali sono con crostacei e secondi piatti, generalmente di pesce (pesce al forno o grigliate) ma anche di carni bianche, preferibilmente tacchino o coniglio.
È peraltro ottimo anche con dei primi piatti piuttosto leggeri, magari dei risotti o una pasta fresca. Lo si può abbinare con un prodotto tradizionale della cucina campana, la mozzarella di bufala IGP.
Nella degustazione si percepiscono note fruttate e floreali, con un palato prevalentemente acido che fa emergere delle tone di mandorla, nocciola, pera e ananas.
Dal Lunedì al Venerdì
9:30-13:30/14:00-18:00
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