Le interviste di Wineowine
Innovatori sì, ma ancorati alla tradizione
Alla Fattoria La Leccia, o semplicemente alla Leccia come diciamo in casa, si è sempre fatto il vino, ma era destinato solo alla famiglia e agli amici.
Nel 1970, mio padre e i suoi fratelli si innamorarono di questo luogo vicino Montespertoli e decisero di comprarlo in omaggio alle loro origini contadine. Poi, come spesso accade nella vita, le cose non vanno proprio per il verso giusto e dal 2011 La Leccia venne un po’ dimenticata e venne affittata a un’azienda agricola vicina.
Mi ricordo bene quando, qualche anno dopo, feci una passeggiata con degli amici per le colline della zona e mi ritrovai per caso proprio tra le vigne della fattoria. All’inizio mi resi subito conto del totale stato di abbandono della campagna, tuttavia non ero riuscita a capire dove fossi esattamente. Fino a quando una mia amica mi disse: “Ma guarda Paola, siamo alla Leccia!” E io le dicevo: “Non è possibile, dai!”
E invece era proprio così: quella vigna, più simile a un bosco che a una vigna, era quello che rimaneva di quello splendido posto che aveva segnato profondamente i ricordi della mia infanzia.
Il giorno dopo decisi di riprendere in mano la situazione e coinvolgere i miei cugini Sibilla, Angelica e Lorenzo con l’obiettivo di riportare La Leccia al centro della nostra famiglia e di aprire le porte a chiunque avesse voglia di un vino buono, pulito e giusto. Ed è proprio quello che stiamo facendo dal 2013 con passione e anche un po’ di orgoglio.
Tutta la produzione è incentrata sulla certificazione biologica e sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni, quali il Sangiovese e il Trebbiano Toscano, tramite un approccio agricolo artigianale, sostenibile e innovativo. Tutti i nostri vini sono quindi monovarietali, ovvero fatti con un unico vitigno, e realizzati attraverso diverse metodologie di vinificazione e affinamento.
Ad esempio, utilizziamo il Sangiovese in purezza per quattro vini. Il Boh, lo spumante rosé ottenuto con metodo charmat che si fa apprezzare per la sua freschezza, piacevolezza e pulizia. Il Rubedo, lo spumante rosé millesimato realizzato attraverso il metodo champenoise, con una sosta sui lieviti di almeno 36 mesi; un vino unico nel suo genere che sorprende per personalità ed eleganza. Il Vinea Domini, il Chianti Superiore DOCG, vinificato in acciaio e affinato per qualche mese in bottiglia, con l’obiettivo di avere un vino dai gradevoli sentori di frutta rossa e di grande bevibilità. Il Leccino, il Toscana Sangiovese IGT, frutto della selezione dei migliori grappoli dell’annata e di una maturazione di circa 18 mesi in botti di rovere da 30 ettolitri e di 6 mesi in bottiglia; un vino che vuole essere profonda espressione del territorio e che colpisce per complessità, equilibrio e finezza.
Invece, per quanto riguarda i vini ottenuti da Trebbiano Toscano in purezza, abbiamo due prodotti molto interessanti. Il primo è il Cantagrillo, il Toscana Trebbiano IGT, che è il frutto di un lungo percorso produttivo sia in vigna che in cantina. Nello specifico, in vigna, dopo aver eseguito pratiche agronomiche quali il taglio del tralcio e la pinzatura del grappolo, vendemmiamo nella prima settimana di Ottobre quando l’uva è quasi surmatura. In cantina, quindi, circa il 50% della massa è vinificato in acciaio a temperatura controllata con macerazione sulle bucce, mentre l’altro 50% in barrique di rovere e acacia dove svolge anche una maturazione di 6 mesi.
Segue l’assemblaggio di un vino che sin dal primo sorso si riconosce per carattere, profondità gustativa e grande fascino. Il secondo e ultimo è Sua Santità, il Vin Santo del Chianti DOC, un vino che si può definire a tutti gli effetti come “naturale” e “orange”. I grappoli di Trebbiano vengono raccolti e posizionati a mano sui fili per l’appassimento che dura circa 3 mesi. Successivamente, viene svolta la pressatura manuale con torchio verticale e il vino viene così “sigillato” in barrique di castagno per un minimo 8 anni. Un vino assolutamente magico, difficilmente descrivibile a parole, come è indescrivibile una magia.
Il nostro vino del cuore è sicuramente il Cantagrillo per un motivo particolare e per la sua storia lunga e travagliata.
Questo vitigno, che era già coltivato al tempo degli Etruschi, venne largamente diffuso dai Romani per le caratteristiche della pianta: la resistenza e la produttività. Con il passare dei secoli il Trebbiano divenne il vino dei Papi e Caterina de’ Medici lo portò alla corte di Francia, dove venne rinominato Ugni Blanc e utilizzato per la produzione di Cognac. Nel 1870, il Barone Ricasoli inserì nella composizione del Chianti anche la presenza del Trebbiano, pratica che è stata sempre più abbandonata comportando una sempre maggiore estirpazione di questo vitigno da parte dei produttori chiantigiani.
Oggi il Trebbiano in Toscana è diventato quasi una rarità, ma noi fin dall’inizio abbiamo creduto in questa splendida cultivar (in modo anche anticonformista), intuendo da subito che dovesse essere vinificato e interpretato come se si trattasse di un vino rosso, e non di un bianco. Quindi, agendo secondo coscienza, si può dire che abbiamo ascoltato e capito la Natura e adesso ci godiamo la bellezza di un vino che sa emozionare.
Ci consideriamo sicuramente degli innovatori che, tuttavia, sono ben ancorati a quei valori imprescindibili della tradizione che hanno reso grande il vino Toscano. Come il nostro logo che ben ci rappresenta, la nostra fattoria è come un albero che ha le radici saldamente piantate nel terreno della tradizione e la chioma liberamente sciolta al vento dell’innovazione.
Questo significa che tutta la nostra produzione è rivolta alla ricerca di un giusto cambiamento, ovvero, di una crescita qualitativa buona e pulita. Difatti, non è detto che tutto ciò che viene dal passato sia corretto o che sia veramente parte della tradizione. Come non è detto che tutte le innovazioni portino sviluppo o valore. La sfida sta quindi nel riuscire ad individuare quell’innovazione necessaria che corregga gli errori del passato, che porti la novità e che sia in linea con i valori intoccabili della tradizione. U
n esempio in questo senso è il nostro metodo classico: un vino nuovo e innovativo, fatto con uve coltivate in maniera del tutto tradizionale e vinificato e affinato con pratiche completamente artigianali.
Con il Boh, possiamo divertirci con qualsiasi tipo di affettato come la Mortadella di Bologna o anche con qualche formaggio stagionato come il Parmigiano Reggiano. Con il Rubedo, osiamo ancora di più con un piatto grasso e irriverente come il Cheese Burger di Chianina. Mentre con il Cantagrillo, ci spostiamo verso la costa Toscana e lo suggeriamo con il Cacciucco o anche con il Baccalà alla Livornese. Con il Vinea Domini, invece, giochiamo in casa: ribollita con della cipolla cruda a spolverare, come fanno dalle nostre parti. Il Leccino lo abbiniamo con un piatto dal sapore antico che preparavano in famiglia nel periodo della caccia: la lepre al cioccolato. Infine, con Sua Santità, è semplicissimo: gorgonzola. No, i cantucci, con questo vin santo, li lasciamo per colazione.
Ricetta lepre al cioccolato: disossare la lepre; farla marinare in frigo, per un giorno, con vino rosso, spezie e odori; si scola quindi la lepre; si prepara un battuto di carote, sedano, cipolle, aglio e uno spicchio di mela verde; si fa soffriggere il battuto con abbondante olio EVO e del rosmarino; si butta la lepre nel soffritto e si fa rosolare; si toglie il rosmarino; si aggiunge del vino rosso; si aggiunge il cacao in polvere fondente con alloro, pepe, sale e una spolverata di farina; si aggiunge del brodo vegetale alla bisogna; fare cuocere per minimo due ore.
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