I Monti Peloritani occupano la parte nord-orientale della Sicilia, dividendo lo stretto di Messina dai Nebrodi e dall’Etna. Sebbene la loro estensione sia ridotta rispetto, ad esempio, agli stessi Nebrodi o alle Madonie è difficile ignorarli nella geografia siciliana.
Da Capo Peloro ai Nebrodi, si estendono per 65 chilometri con una altezza massima di 1.374 metri (Montagna Grande), toccando la vallata dell’Alcantara fino ai Giardini Naxos.
Un territorio eterogeneo con pochi altopiani, molti picchi e canyon, gole profonde e vette dalla prominenza ragguardevole. Il tutto in un profilo di biodiversità dove la nascita delle uve appare ai profani quasi accidentale.
La Sicilia è un territorio straordinariamente affine al mondo enologico, salvo che per una zona piuttosto impervia in termini di altitudine che va dall’Etna fino a Enna.
Nel messinese ed area Etnea, che sono unite in una una macrozona enologica comprendente Messina, Taormina, Catania ed Etna è storicamente accertata la produzione di due vini tipici del territorio, il Mamertino e il Faro, oggi entrambi qualificati dalla Denominazione di origine controllata.
Il Mamertino è originario di Milazzo e oggi diffuso in trentuno comuni che la circondano, mentre il Faro è un vino tipicamente messinese. Quest’ultimo viene prodotto con un mix sapiente di tre o quattro uve: Nerello mascalese, Nerello cappuccio, Nocera (con percentuali massime del 60, 30 e 10%) e con – ma solo in alcuni casi – l’aggiunta di poco Nero d’Avola o Sangiovese.
Nella Geografia di Strabone si fa riferimento già al Faro, vino che venne introdotto dai greci durante la colonizzazione dell’attuale Mezzogiorno d’Italia.
Non è il vino di Messina, bensì di Marte – la divinità primordiale del culto pagano romano. Una sfida apparente in qualità, tanto che il Mamertino (e poi il Faro) rivaleggia in qualità con tutti i vini della Penisola.
Il riconoscimento ufficiale della sua qualità è però recentissimo: solo nel 1976 al Faro è concessa la DOC, che la storia dimostrerà aver ampiamente meritato.
Chiano Conti è uno dei Faro DOC di maggior qualità nell’intera provincia messinese, un vino che viene prodotto in sole seimila bottiglie ogni anno. Quando la produzione è così ridotta, numericamente parlando, l’attenzione al prodotto finale è massima, anche se le condizioni di coltivazione delle uve sono a volte proibitive.
I vigneti si trovano infatti su terrazzamenti collinari ad andamento curvilineo, a una altitudine media di 400 metri sul livello del mare, dove l’influenza della brezza marittima inizia a confrontarsi con l’aria più fresca delle montagne. Un ambiente tanto aspro quanto in realtà funzionale, dove si realizza un vino eccezionale. Il Maestrale soffia delicato tra le spalliere a cordone speronato, la natura aiuta la crescita degli acini che vedono raramente prodotti di sintesi chimica, mentre grappoli e tralci meno funzionali vengono semplicemente rimossi.
Una sorta di sacrificio funzionale, che permetterà alle uve rimaste di non essere attaccate dai parassiti ma, soprattutto, di avere una qualità con pochi eguali.
La cucina messinese rappresenta una delle espressioni contemporanee meglio conservate delle tradizioni importate dalla Penisola ellenica sull’isola. È un unicum per la Sicilia, dove è invece ancora oggi molto forte l’influenza araba, soprattutto in termini di dolcezza delle preparazioni.
Meno strutto e più burro, un uso ridottissimo dello zucchero, la prevalenza della mandorla e dei canditi nella preparazione dei dolci, senza tuttavia rinunciare a dei capisaldi della cucina siciliana come gli arancini, che vengono preparati nella forma conica tipica del catanese, conditi con carne, piselli, formaggio, prosciutto e zafferano.
Alle prelibatezze di questa cucina territorialmente ben radicata il Faro DOC si avvicina con cautela, non volendo rappresentare infatti un abbinamento scontato o troppo prevalente su sapori delicati.
Del resto è un rosso intenso e corposo, già nel colore ancor prima che nel sapore, il cui corpo predominante lo rende adatto a un accoppiamento enogastronomico soprattutto con le carni più “selvatiche” (cacciagione e selvaggina), agli arrosti e ai formaggi più stagionati, non solo di latte vaccino ma anche ovino e caprino.
Per rimanere fedeli alla tradizione, lo si può abbinare ai piatti tipici dei Monti Peloritani come le braciole alla messinese, all’agnellone alla brace o al castrato.
Dal Lunedì al Venerdì
9:30-13:30/14:00-18:00
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