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Il vino "nero nero" del Salento
Ha ispirato musica e letteratura, ha definito una sorta di “sottocultura” regionale ma soprattutto ha dato un nuovo impulso alla già incredibile riconoscibilità dell’enologia pugliese: parliamo, neanche a dirlo, del Negroamaro.
C’è chi lo chiama Negro Amaro e chi Negramaro, rifacendosi all’omonimo gruppo: comunque lo si voglia leggere, il suo sottotitolo neanche troppo celato è appunto “il vino di Puglia”.
In realtà, la sua zona di produzione non riguarda tutta la regione ma è limitata alle province più meridionale, quelle di Brindisi, Taranto e Lecce. Lo si potrebbe dunque definire un vino salentino, ancor prima che pugliese.
E del resto è proprio il Salento dove, chilometro dopo chilometro, si trovano numerose aree dedicate all’enologia: basti pensare a Manduria con il suo Primitivo o a Cellino San Marco, dove si trovano le vigne del celebre cantante Al Bano.
La produzione del Negroamaro, così come lo conosciamo nella sua variante salentina, non è così antica come si possa pensare. Le prime fonti accertate risalirebbero infatti al XIX secolo, dove se ne sottolinea il rischio di scomparsa a causa di un non meglio specificato bruco.
Potrebbe forse trattarsi della peronospera, una malattia delle piante provocata da alcuni organismi che, nel corso dell’Ottocento, decimarono la produzione dei vigneti in Italia e in Europa.
Curiosamente, l’iscrizione al Registro Nazionale delle Varietà di Vite è ancora più recente: viene inserita infatti nel 1970. Una certa contemporaneità che però incuriosisce se paragonata all’origine etimologica del suo nome, che viene fatta risalire a una crasi tra due termini, uno greco e uno latino, che indicano il colore nero.
Negramaro, infatti, non sarebbe altro che il vino nero nero (niger, nigro in latino e mavro in greco-salentino), un richiamo abbastanza immediato al colore intenso di questo “oro liquido” della Puglia.
Il Negroamaro si produce in massima parte con l’uva dal quale prende il nome, una cultivar tipicamente pugliese che si avvale del caldo clima e dall’ampio soleggiamento del Salento.
In alcuni casi le sue varianti locali (Jonico, Lacrima o Albese) può essere vinificato derogando dalla “purezza”, utilizzando quindi altri vitigni comunque tipici e previsti dal disciplinare, come ad esempio la Malvasia Nera leccese.
I grappoli di Negroamaro sono di media grandezza, così come i singoli acini, dal colore nero-violaceo intenso: se ne ricava un vino molto alcolico, con un tenore intenso, che spazia dai mirtilli al pepe fino alle ciliegie.
Un richiamo sensoriale “forte” nel vero senso della parola, come è forte questo vino, portabandiera dell’enologia di Puglia.
Quando si coltiva l’uva Negroamaro, la scelta del metodo di allevamento è molto importante. Spesso, infatti, si utilizzano i tradizionali impianti della vite che garantiscono un lavoro di controllo, manutenzione e vendemmia più facile.
Per molti produttori di quest’uva, soprattutto i più esperti, è di maggior rilievo e miglior resa la cosiddetta tecnica dell’alberello.
Si tratta di una coltivazione che, a differenza del metodo tradizionale (nato in Etruria) non prevede l’uso di pali di sostegno bensì la crescita libera dell’uva sul proprio sostegno naturale, quasi come fosse un piccolo albero.
È una tecnica che richiede una particolare attenzione, soprattutto durante la potatura: i nutrienti non devono infatti andare verso le parti infruttifere della pianta e questa non deve svilupparsi eccessivamente, poiché l’uva che se ne ricava avrebbe un sapore meno intenso di quella ricavata con i metodi classici.
Per un vino di forte spessore come il Negroamaro, anche gli abbinamenti devono essere scelti con attenzione. Se si prediligono piatti troppo leggeri, infatti, il rischio è quello di sovrastare il sapore di un antipasto o un secondo piatto di pesce con questo tenore decisamente alcolico.
Ecco perché, quando si visita il Salento e ci si immerge nella sua cucina ricca e intensa, uno degli abbinamenti preferiti con il Negroamaro è quello degli gnummareddi, degli involtini di interiora di agnello avvolti nel budello e cotti sulla brace o nel sugo.
Insieme all’agnello, anche la carne di cavallo è adatta al consumo con questo vino, che non altera ma accompagna le note decise dei piatti. Lo fa del resto anche con i sughi di carne, con le zuppe di legumi e con le grigliate, oltre che con arrosti, stufati e stracotti.
Più in generale possiamo dire che il Negroamaro sia un “vino di terra”, vicino geograficamente ma non gastronomicamente all’azzurro mare del Salento.
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