Quella del Nero d’Avola è una storia – anche geografica – decisamente interessante. Il vitigno nasce infatti in Sicilia, più precisamente nella zona siracusana dei comuni di Eloro, Pachino e Noto. Si tratta di un territorio fortemente circoscritto, bellissimo dal punto di vista turistico e fortunato in fatto di clima e condizioni meteorologiche.
Il suo nome originale, Calavrisi, parrebbe riferirsi a una possibile origine “continentale” ma in realtà è una italianizzazione, o meglio sarebbe dire storpiatura, del termine Calaravrisi, ovvero cala (uva) di Avrisi, Avola.
Oggi quest’uva è prodotta in larga parte dell’Italia meridionale, ma anche in Lazio, Umbria, Toscana e Abruzzo.
Quella del Nero d’Avola è una storia dai tratti fumosi, che vede nella ricca esperienza di popoli e tradizioni della Sicilia la sua origine e diffusione.
Sappiamo con una certa approssimazione di certezza che l’uva dalla quale nasce il Nero sia stata importata in Sicilia dai Fenici, all’incirca intorno al XII secolo avanti Cristo.
L’ottima esposizione climatica, il terreno favorevole e la propensione all’enologia dei Romani fecero il resto, dando a quest’uva terreno fertile – in tutti i sensi – per prosperare pur rimanendo in un alveo geografico limitato.
Nell’Ottocento, con l’avvento del commercio estero, il Nero d’Avola viene sempre più spesso chiamato Calabrese, per confondere i compratori francesi che ritenevano quello di Calabria il vino migliore.
Il vino che si produce con le bacche di Nero d’Avola, nere per eccellenza, è forte e corposo. Simile per certi versi al Nebbiolo o al Sangiovese, ha un bouquet di aromi di particolare importanza, prevalentemente di frutta estiva, liquirizia ed eucalipto.
Di colore intenso e sapore caldo, abbastanza acido, ha una certa profondità che non confonde il palato, risultando fine e armonico e mai troppo “importante” in tavola o all’assaggio più attento.
Il Nero deve il suo nome non solo al colore della bacca, ma anche alla città nella quale insiste il nucleo fondante della sua produzione: Avola.
La città, che oggi sorge davanti al Golfo di Noto, non è però sempre stata qui. Vi fu trasferita dopo il devastante terremoto del 1693, che rase al suolo non solo Avola vecchia, ma anche Siracusa e gran parte di Catania.
Da città di montagna, abbarbicata sui crinali delle vette sicule, Avola divenne località marittima, il cui cardine è una struttura perfettamente esagonale, progettata da Angelo Italia su richiesta del principe Nicolò Pignatelli d’Aragona.
Numerosi i luoghi d’interesse, come le numerose chiese e gli antichi dolmen del periodo neolitico.
Un rubino nel bicchiere: potremmo definire così il Nero d’Avola a prima apparenza, con il suo colore profondo e penetrante che quasi “macchia” i calici.
Un vino che ovviamente predilige abbinamenti di corpo e sostanza, come quelli con le carni, ma con una particolarità: nonostante il rosso sia generalmente associato della stessa accezione cromatica, il Nero ben si presta anche ad abbinamenti con la carne bianca, pollo e coniglio in testa.
Imperdibile l’accoppiata tra Nero d’Avola e il formaggio stagionato: principe di questo abbinamento è il caciocavallo di Ragusa, variante locale di un formaggio tipicamente meridionale.
Non avendo – a giusta ragione – una certa affinità con il pesce lo si può però abbinare a varianti della cucina siciliana tipicamente di terra, come i timballi o la pasta alla Norma.
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