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Il vino "scuro" della Puglia
Troia – da non confondersi con la città ellenica protagonista di tanti racconti – è un borgo pugliese che appartiene alla provincia di Foggia, situato tra il Subappennino Dauno e il Tavoliere delle Puglie.
Una piccola realtà dalla profonda e radicata proposta culturale, dove si trovano monumenti dalla bellezza unica, come la Concattedrale di epoca medievale.
Da qui prende il nome il Vino di Troia, o Nero che dir si voglia, caratterizzato da un’areale di diffusione che tocca prevalentemente la zona costiera dell’Alta Puglia, tra le provincie di Foggia, Barletta-Andria-Traini e Bari.
Quest’uva dalle spiccate caratteristiche cromatiche si ritrova anche in Basilicata e in Campania, prevalentemente tra Benevento e Caserta, ma è la Puglia la sua regione elettiva.
Può un’uva proveniente dalla Grecia aver cambiato, o quanto meno segnato, il corso della storia della Puglia? Se parliamo del Nero di Troia la risposta è probabilmente sì.
Secondo la leggenda, fu Diomede che – lasciata la città natale in Grecia e sbarcato sul Gargano – fece attecchire in queste terre favorevoli il Nero, trovandovi subito terreno fertile e clima adattissimo.
La coltivazione dell’Uva di Troia sarebbe proseguita poi con alterne fortune per tutto il Medioevo e fino al Rinascimento, grazie al particolare interessamento di Federico II di Svevia prima e dei Marchesi D’Avalos poi.
Abbandonata progressivamente per far spazio agli oliveti, la sua riscoperta è piuttosto recente, quando ci si è resi conto della qualità dei vini che vi si potevano produrre con la vinificazione in purezza.
La produzione dei vini con base di Uva di Troia avviene impiegando due varietà di quest’uva
La maggior parte dei vini che vengono prodotti con Uva di Troia vede quest’ultima presente in quantità minime del 60-70%, eventualmente integrate con altre uve a bacca nera (Sangiovese, Montepulciano, Malvasia etc.)
L’uva di Nero di Troia da vita a vini di grandissimo spessore enologico, da gustare sia per momenti speciali che in abbinamento alle tavole quotidiane.
In particolare, da disciplinare, con quest’uva si producono due DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), il Castel del Monte Nero di Troia Riserva e il Castel del Monte Riserva.
Per quanto riguarda le DOC, queste ultime sono diffuse in più ambiti, da Barletta – con il vino omonimo – a Cerignola (Rosso), Castel del Monte, San Severo, al Tavoliere delle Puglie fino a Lucera, dove si produce il Cacc’e’ Mmitte.
Il nome di quest’ultimo, che significa sostanzialmente “togli e metti”, richiama l’immediatezza di vinificazione delle uve che si seguiva in passato: la pigiatura, che doveva avvenire di giorno in giorno, rendeva le vasche sempre ricche di lavoro, tra chi toglieva (cacce) e chi metteva (mmitte) i grappoli per la spremitura.
Il Nero di Troia è uno dei “tre grandi di Puglia”, ben riconoscibile nella proposta enogastronomica pugliese, che va servito generalmente a una temperatura tra i 16 e i 18 °C, mentre la variante rosata si serve tra gli 8 e i 10 °C.
È un vino di struttura, molto apprezzabile in ogni momento dell’anno e con tantissimi abbinamenti diversi, che vanno dall’aperitivo al dolce. Il Nero di Troia rosso ha generalmente un colore molto intenso, rubino, con sentori al naso importanti e un corpo tannico vagamente vivace. Il Rosato è cerasuolo, quasi violaceo, con aromi tipici di frutta rossa e gusto fresco.
Se per il rosso l’abbinamento perfetto è quello con la carne (non importa se alla brace, in tegame, con cotture più o meno importanti), il Rosato può essere proposto anche insieme al pesce: magari una grigliata di scampi e gamberi, una tellina allo scoglio o anche un’orata in crosta di patate.
Entrambi si abbinano bene anche ai primi piatti a base di verdure della cucina pugliese, con il Rosato che diventa un fenomenale accompagnamento di antipasti e finger-food.
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