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Il vino 'vulcanico' del Centro-Sud Italia
Piedirosso, un nome che risuona molto familiare in Campania ma che estende il suo areale di produzione anche ai territori confinanti di Puglia e Lazio.
Lo possiamo chiamare “vino vulcanico” perché lo si produce alle pendici del Vesuvio e dei Campi Flegrei, quei territori dalla storia geologica ed eruttiva particolarmente forte e dinamica.
Grandi nutrimenti, quelli dei terreni vulcanici, che si espandono in una delle regioni più scenografiche d’Italia, restituendo un vino eccellente. Proprio come i territori dai quali nascono le sue uve.
Il grappolo del Piedirosso è forte e corposo, una sorta di inno alla realtà significativa del territorio campano.
Un’uva che può essere coltivata, secondo il disciplinare, in tutta la Regione Campania ma che trova le zone migliori non solo nei già citati Campi Flegrei e Vesuvio, bensì anche in Costiera Amalfitana, nel Sannio, nel Taburnio e nei dintorni di Caserta.
Quello che nasce dalle viti è un grappolo dalla forma tozza, ricco, con una produttività spiccata e un colore decisamente rosso-violaceo, tendente al prugna. Bello da vedere, buonissimo nella resa in bottiglia.
Un vero capolavoro della natura, un po’ come i palombi, dai quali ha mutuato il suo nome dialettale: per’ e palumbo (piede di palombo).
Settecento ettari, questa la sua diffusione in Campania, dove è autoctono e particolarmente apprezzato: le rimanenti zone autorizzate sono tutte le province della Puglia e la sola provincia di Latina per il Lazio.
La produzione dei vini da bacca Piedirosso richiede, spesso, l’impiego in purezza di questo vino, come accade per il Piedirosso Pompeiano IGT, che lo impiega al 100% del suo valore.
Nel Campi Flegrei si impiega tra il 90% e il 100%, percentuali che scendono al 40-60% nel Costa d’Amalfi rosso, dove si impiegano anche Aglianico e Schioppettino.
C’è un volume, vecchio di duemila anni, che più di altri ci aiuta a fare luce sulla storia dell’Italia, dei suoi territori e dell’oro liquido che l’ha portata ai vertici del mondo.
È il Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, storico romano vissuto nel primo secolo dell’Era imperiale e morto durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
A lui si deve una efficace descrizione dell’uva Palombina Nera e della simile Colombina, che oggi vengono considerate come antenate, o addirittura la stessa, del Piedirosso.
Omologa citazione della Palombina risale poi a degli scritti del Cinquecento di Herrera – Sederini, secondo il Carluci.
L’uso del Piedirosso si consolida comunque tra Ottocento e Novecento, grazie alla sua ottima resistenza alle malattie delle viti, che riesce a sopperire alla crisi produttiva di fine XIX secolo. Da qui, se ne consolida la fama.
Vino delle grandi occasioni, o perché no, anche per una coccola con la persona amata. Il Piedirosso si presta a momenti importanti, e lo fa senza particolari remore: è un rosso che chiede e dà attenzioni, ottimo in un abbinamento cibo-vino di rilievo.
Il Piedirosso Pompeiano, ad esempio, presta il fianco ad essere servito insieme al filetto alla Wellington, un nobile pezzo di carne avvolto in crema di funghi e protetto da uno scrigno di pasta sfoglia.
Avete capito, insomma, che questo figlio dell’enologia campana dà il meglio di sé con le carni, preferibilmente rosse: una Fiorentina, una braciata con gli amici o anche una bistecca impreziosita da qualche fiocco di sale Maldon, rigorosamente cotta al sangue.
Ottimo in ogni caso anche con la selvaggina, con carni di maiale e con dei formaggi ampiamente stagionati, magari un Pecorino di Vitulano o un provolone del Monaco.
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