Ribolla Gialla

Ribolla Gialla

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Ribolla Gialla

Una tradizione che viene dal Friuli

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DOVE CI TROVIAMO

Il vino dell'Adriatico

La produzione della Ribolla Gialla, storica uva del Friuli-Venezia Giulia dal quale si ricava l’omonimo vino a Denominazione di origine controllata, non è in realtà limitata alla regione più ‘internazionale’ d’Italia.

Vigneti coltivati a Ribolla si trovano infatti anche nella vicina Slovenia, che ne condivide gran parte delle caratteristiche pedoclimatiche, ma anche a Cefalonia, una delle più grandi isole della Grecia, situata nel novero delle Isole Ionie.

In Slovenia, la Ribolla viene chiamata Rebula, ma il significato – e le specificità – differiscono davvero di poco.

Ribolla gialla

LE DENOMINAZIONI

Una DOC diffusa

Dalla Ribolla Gialla si ricavano diversi vini da tavola, ma anche due referenze che hanno ottenuto, rispettivamente nel 1970 e nel 1990, la Denominazione di origine controllata.

Stiamo parlando del Colli Orientali del Friuli Ribolla e del Collio Goriziano Ribolla. Questi due vini, la cui produzione è limitata in maniera specifica alle ex-province di Udine e Gorizia, si caratterizzano per il colore giallo paglierino intenso, il sapore asciutto e l’odore floreale.

Sono vini che, nonostante un titolo alcolometrico mediamente basso (circa 11%) rappresentano al meglio un carattere deciso ed essenziale dell’enologia Friulana. 

Lo fanno anche grazie ai gustosi abbinamenti cibi-vino, nonché con una storia che, secondo fonti accreditate, avrebbe origini molto lontane.

Un vino che predilige un terreno per certi versi aspro, mediamente argilloso, tipicamente collinare e che, al risultato finale, premia con toni piacevolmente freschi.

LE UVE

L'Uva Ribolla

La Ribolla gialla, dalla quale si ricavano i vini del goriziano e delle colline di Udine, è un’uva di piccole dimensioni, che si presenta con grappoli piuttosto compatti e tipicamente più stretti in basso (forma piramidale).

Si tratta di un’uva sì dolciastra, ma con un tono lievemente acidulo, che ha una maturazione media (non tardiva, né primizia) e dal quale si ricava un vino parimenti acidulo e fruttato.

CURIOSITÀ

Un vino che viene dal passato

La produzione della Ribolla gialla e la sua diffusione in Friuli-Venezia Giulia pare che abbia avuto origine lungo la costa adriatica d’Oriente.

Slovenia sì, ma forse anche la Grecia: sono da ricercare qui le origini di quest’uva, che i veneziani – grandi commercianti e sempre più potenti nell’Adriatico durante i secoli – importarono nei loro domini probabilmente già nel XII secolo.

Ribolla in Italia, rebula in Slovenia e Robola in Grecia: da uno studio approfondito del 2012 si è accertato che le varianti italiane e slovene sono pressoché identiche, mentre le uve greche differiscono per alcuni marcatori specifici. Sarebbe dunque un’uva forse simile, magari con origine comune, ma differenziatasi nel corso del tempo.

I vini del Collio erano in ogni caso apprezzati già in passato, come riportano delle fonti tedesche del XIV secolo, nelle quali la Ribolla viene impropriamente chiamata Rainfald.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Vino fresco, con delle note che lo associano istintivamente alla bella stagione: ecco la Ribolla gialla, frutto ‘allegro’ del Friuli-Venezia Giulia nel bicchiere.

Servito a temperature mediamente basse, il suo range di abbinamenti cibo-vino è piuttosto ampio, e trova giovamento dalla certa varietà della cucina friulana, fatta di ricette internazionali e prodotti tipici locali. Lo si può facilmente servire infatti con dei piatti di pesce, cominciando dalle crudité o magari giocando con le note sapide delle ostriche e dei tartufi di mare.

Validissimo anche l’abbinamento con le specialità a base di funghi, a partire dai primi piatti (pappardelle ai porcini, ravioli tartufati e così via) e virando sulle zuppe o le vellutate, prelibatezze che riscaldano il cuore e lo stomaco nei mesi invernali ma che possono essere portate in tavola anche in variante più raffinata.

Pesce bollito o in salsa? Sì, anche lui è facilmente abbinabile alla Ribolla gialla, vino certamente flessibile che ben si presta a sperimentare negli abbinamenti. A voi la scelta!

 

Ribolla Gialla

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Montepulciano d’Abruzzo

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Montepulciano d'Abruzzo

La più grande DOC d'Italia

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DOVE CI TROVIAMO

Un vino per una regione

A volte parlare del territorio nel quale si produce un vino è facile, poiché si limita a un grappolo (è proprio il caso di dirlo!) di comuni.

Quando si parla del Montepulciano d’Abruzzo, invece, questa distinzione non è poi così facile, poiché la sua produzione è ammessa, da disciplinare, in tutte e quattro le province abruzzesi: Chieti, L’Aquila, Pescara e Teramo.

A cosa è dovuta questa scelta? I fattori sono molteplici, e riguardano sia la presenza di più zone storiche di produzione che l’ampia diffusione dell’uva Montepulciano (da non confondersi con la variante toscana), che è quintessenzialmente abruzzese.

Vineyards in Abruzzo

LE DENOMINAZIONI

Una DOC diffusa

L’ampia diffusione del Montepulciano d’Abruzzo ha fatto sì che, negli anni, divenisse il primo vino italiano a Denominazione di origine controllata per volumi di produzione.

Lo si trova un po’ in tutto l’Abruzzo, declinato sulla base di un disciplinare che ha più di cinquant’anni di vita: fu infatti approvato con un decreto risalente al luglio 1968. 

DOC sì, ma anche IGT e DOCG: in quest’ultimo caso parliamo della sottozona delle Colline Teramane, che possono vantare questo ambitissimo riconoscimento sin dalla vendemmia del 2003. 

Solo due anni dopo è stata invece autorizzata la denominazione “Riserva” su alcune produzioni di Montepulciano d’Abruzzo che rispettano, per invecchiamento, le caratteristiche specifiche richieste dal disciplinare.

A occuparsi ancora oggi della promozione di questo vino c’è il Consorzio di tutela dei vini d’Abruzzo, istituito nel 2002 e al quale è affidata anche la cura su Trebbiano, Cerasuolo e Villamagna, oltre a numerosi vini IGT del pescarese, delle Colline Frentane, della Val di Sangro e delle Terre Aquilane.

LE UVE

L'Uva Montepulciano

Il vitigno Montepulciano è, insieme al Cerasuolo, una delle uve più celebri e tradizionali dell’enologia abruzzese.

Nonostante sia tipicamente associata all’Abruzzo, la si trova a macchia di leopardo in moltissime regioni italiane, particolarmente nel Centro-Sud ma anche al nord, come ad esempio in Emilia-Romagna e Lombardia.

Descritta per la prima volta da Sante Lacerio, bottigliere per la cantina personale di Papa Paolo III, è descritta dettagliatamente dal Settecento. 

Si tratta di un’uva dai sentori di ciliegia, molto intensa, dalla resa alcolica importante e con maturazione tardiva, che sfiora il mese di ottobre.

CURIOSITÀ

Toscana o Abruzzo? Un'origine contesa

Montepulciano di Siena o Montepulciano d’Abruzzo? La disputa sulla reale origine di quest’uva, che nelle due varianti ha caratteristiche ampelografiche in parte sovrapponibili, va avanti ormai da secoli.

Gli studiosi affermano che molte delle cultivar presenti sul suolo nazionale, come appunto il Montepulciano d’Abruzzo o il Cirò di Calabria, derivino da uve introdotte nel periodo della Magna Grecia, dunque tra l’VIII e il VII secolo a.C.

Pare tuttavia che l’omonimia si debba a Carapelle Carvisio, un piccolo borgo d’Abruzzo dove i Medici di Firenze avevano una baronia: qui decisero di impiantare delle vigne, introducendo meccaniche simili a quelle di Toscana.

Nella Valle Peligna queste uve, pur con sviluppo tardivo, trovarono terreno fertile e si diffusero fin dall’Ottocento. Dunque si può parlare di un’origine comune, sì, ma che ha alcune somiglianze solamente nel nome e che, per territorio e storia, ha oggi preso due strade diverse e parallele.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Un vino decisamente strutturato, adatto, come si suol dire, ai “palati forti”. Il Montepulciano d’Abruzzo richiede una certa preparazione all’assaggio, poiché si presenta con tutta la sua forza e cortesia, un po’ come gli abruzzesi.

Forte sì perché ha un tenore alcolico alto, che ne consiglia abbinamenti con piatti decisi, come i secondi di carne, le grigliate o gli stufati, che hanno delle note intense al palato.

Cortese, perché può essere degustato anche sotto forma di vino da meditazione, approfondendo un bouquet aromatico e degustativo che ha note di frutti di bosco, mineralità, ideale ad esempio per primi piatti con sughi di carne, minestre saporite per le fredde giornate d’inverno, fino agli immancabili piatti di carne suina, ovina e bovina.

Sì, potete abbinare un buon bicchiere di Montepulciano d’Abruzzo con gli arrosticini!

montepulciano d'abruzzo
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Cirò

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Cirò

Il vino calabrese con vista sulla Magna Grecia

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DOVE CI TROVIAMO

Sulla costa crotonese

Sono quattro i comuni che rappresentano l’areale di produzione del Cirò DOC, uno dei vini più celebri del panorama enologico calabrese: Cirò, Cirò Marina, Melissa e Crucoli.

Ci troviamo nella provincia di Crotone, dunque sul lato ionico del ‘Tacco dello Stivale’, in una zona decisamente ricca sotto il profilo naturalistico e il cui clima mite ha da sempre permesso la proficua coltivazione delle uve.

Se Cirò Marina è Città del Vino sin dal 2000, è perché qui c’è il vero nucleo produttivo di questo vino. La città di Cirò, nell’entroterra e di cui Marina è stata frazione fino agli anni Cinquanta, conserva ancora molti vigneti.

Melissa e Crucoli, belle località di natura e artigianato locale, contribuiscono allo stesso modo alla realizzazione e alla fama di questo vino, portavoce della Calabria nei calici.

 

Il sole attraversa le foglie di vite con un grappolo di uva matura in primo piano in un vigneto in italia

LE DENOMINAZIONI

Bianco o rosso? Entrambi!

Nei meno esperti di cose di…vino il Cirò è un vino che genera confusione. C’è chi ne conosce la versione bianca, chi quella rossa, ma quasi mai entrambi. Anzi, sembra che chi ne conosca una vada automaticamente ad escludere l’altra, ma esistono entrambi, anzi: il Cirò viene vinificato in bianco, rosato e rosso. 

Il Cirò bianco è prodotto sia nella variante ‘tradizionale’ (senza altri nomi) che come classico, ovvero con aggiunta di uve Trebbiano Toscano.

Il Cirò rosato è una variante piuttosto giovane, dal profilo delicato e armonioso, introdotto per diversificare la linea del Cirò in un mercato in sempre maggiore trasformazione.

Il Cirò rosso è la versione più conosciuta e apprezzata, ma anche quella che si riproduce con maggiori varianti, ben cinque:

  • Cirò rosso superiore
  • Cirò rosso superiore riserva
  • Cirò rosso classico
  • Cirò rosso classico superiore
  • Cirò rosso classico superiore riserva
LE UVE

Non solo Gaglioppo

La produzione dei vini Cirò DOC prevede l’uso, secondo il disciplinare approvato originariamente nel 1969, di varie uve a bacca bianca e rossa, a seconda del prodotto finale:

  • Greco Bianco, in percentuali minime del 90% per il Cirò bianco
  • Trebbiano Toscano, in percentuali massime del 10% per il Cirò Bianco
  • Gaglioppo, in percentuali minime del 90-95% per il Cirò rosato e rosso
Gaglioppo è un’uva nera, tipicamente calabrese e che, insieme a Greco Bianco e Mantonico, è la migliore rappresentazione della produzione calabra nel bicchiere. Si tratta di un’uva che matura molto presto, resistente al caldo e al clima secco, dall’ottima resa aromatica.

CURIOSITÀ

Il vino più antico del mondo?

Alcuni esperti, soprattutto locali, affermano che il Cirò possa essere considerato come il vino più antico del mondo, poiché risalirebbe addirittura all’VIII secolo a.C.

È proprio a questo periodo che risalgono le prime ‘spedizioni’ di Elleni che raggiungono l’attuale Calabria, dando vita a quella Magna Grecia che nella regione del Mezzogiorno d’Italia è evidente in abitudini, lingue e testimonianze monumentali.

Cremissa (o Krimisa) fu una colonia greca, corrispondente alla Cirò Marina di oggi. Qui il clima favorevole permise l’introduzione delle uve che, trovando terreno fertile, portarono i greci d’un tempo a dedicarvi un tempio a Bacco. Addirittura, pare che questo vino fosse talmente buono da essere servito durante le Olimpiadi, il momento più sacro dell’antichità, quando le guerre si fermavano e si combatteva solo nelle arene sportive.

Tanta era l’importanza di questo vino che le cantine vennero collegate al porto di Sibari attraverso degli “enodotti”, antesignani degli acquedotti ma con un carico molto più prezioso. Da qui, l’oro liquido di Calabria veniva trasportato fino alla Penisola ellenica e distribuito durante le celebrazioni ufficiali, ma anche nelle case dei ricchi dell’epoca.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Come si può abbinare un vino bianco, uno rosato e uno rosso? È il grande dilemma che ci mette davanti il Cirò DOC, vino presente in ogni variante e versatile per definizione.

Il Cirò rosso lo si serve a temperatura ambiente, fino ai 20 °C ed è straordinariamente adatto ad accompagnare i secondi di carne calabri, dagli arrosti alla selvaggina, ma risulta ottimo anche con primi piatti a base di sughi e salse molto ricche (ragù).

Il Cirò rosato va bene tanto per l’aperitivo quanto per accompagnare il pasto dall’inizio alla fine. Dalle note più fresche, che si ritrovano in una temperatura di servizio più bassa (10-12 °C circa), è perfetto per dei secondi di carne bianca o una selezione di salumi.

Il Cirò bianco, infine, è l’ideale se in tavola si portano specialità di pesce, delle quali la cucina calabra non è certamente parca. Frittura di paranza, rosamarina (o sardella), ma anche uno spaghetto allo scoglio risulteranno ben apprezzati nell’abbinamento con questo vino, da servire decisamente fresco (entro i 10 °C).

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Cinque Terre

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Cinque Terre

I terrazzamenti eroici con vista sul mare

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DOVE CI TROVIAMO

I borghi più celebri d'Italia

Riomaggiore, Manarola, Vernazza, Monterosso al Mare e Corniglia. Sono loro i cinque borghi che compongono le Cinque Terre, destinazione turistica di primissimo ordine per la Liguria e l’Italia.

Un paesaggio di autentico splendore, la cui eleganza è una sapiente mescolanza di elementi naturali e casupole dai colori cangianti, a picco sul Mar Ligure.

Quest’angolo in provincia della Spezia, dove si persegue la viticoltura eroica, è foriero di un vino che prende il nome proprio dai borghi, il Cinque Terre DOC, le cui uve provengono dalle coltivazioni sui terrazzamenti compresi nel Parco nazionale delle Cinque Terre.

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LE DENOMINAZIONI

Costa o Schiacchetrà?

Il vino Cinque Terre, a Denominazione di origine controllata, viene prodotto in sei referenze, ciascuna con un nome e una specificità che si riflette sul territorio, sulle uve impiegate e non solo.

I Cinque Terre DOC sono i seguenti:

  • Cinque Terre
  • Cinque Terre Costa de Sera
  • Cinque Terre Costa de Campu
  • Cinque Terre Costa de Posa
  • Cinque Terre Schiacchetrà
  • Cinque Terre Schiacchetrà Riserva

Particolare attenzione va prestata allo Sciacchetrà, o Schiachetrà, un vino passito che viene prodotto nelle Cinque Terre ormai da tempo immemore e che, oltre alla Denominazione di origine controllata, può fregiarsi anche del riconoscimento di Presidio Slow Food.

La sua importanza è data dall’appassimento naturale, dall’ottimo colore e dal sapore dolce, che si ottiene con un blend sapiente di uve bianche.

LE UVE

La Liguria nel bicchiere

La produzione dei vini Cinque Terre prevede l’uso, secondo il disciplinare approvato nel 2011, di tre uve a bacca bianca:

  • Bosco, in percentuali minime del 40%
  • Albarola, in percentuali massime del 40%
  • Vermentino, in percentuali massime del 40%
Bosco è un’uva tipica della Riviera di Levante, che viene impiegata per ottenere vini strutturati e molto profumati.
 
L’Albarola è simile alla Bianchetta Genovese e si trova anche in Toscana; prodotta in abbondanza, dona vini chiari e dal profumo “di campo”.

CURIOSITÀ

I terrazzamenti

Costruiti a partire dall’anno Mille, i muretti a secco che delimitano i terrazzamenti delle Cinque Terre sono uno spettacolo caratteristico della Riviera di Levante.

Pietre, terra e tanta forza umana, per trasportare queste pietre e ridisegnare un territorio altrimenti troppo scosceso per qualsiasi attività, ammorbidito e reso utile per una coltivazione eroica.

“Piccoli e minuscoli appezzamenti di terra”, dove ancora oggi alcuni eroi del territorio decidono di dedicarsi alla produzione dei tesori della terra, particolarmente delle uve che contribuiscono alla realizzazione del vino Cinque Terre.

I terrazzamenti che sovrastano i borghi hanno però avuto ancor più effetti: non solo rinvigorire il territorio e renderlo coltivabile, ma anche regolare i flussi delle acque meteoriche, impedendo così di sprecare le preziose, e piuttosto frequenti, piogge che bagnano la Liguria.

I terrazzamenti sono proprio come i liguri: instancabili e pieni di risorse.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Rispetto ai vini bianchi più diffusi e agli spumanti, il Cinque Terre DOC viene portato in tavola con temperature lievemente più alte, vicine quasi a quelle ambientali e comunque tra i 13 e i 16 gradi centigradi.

Gli abbinamenti consigliati sono quelli con le specialità della cucina ligure, una gastronomia ricchissima in termini di varietà e qualità.

Non solo le trofie con il pesto alla genovese, vere ambasciatrici di una tradizione culinaria ricca e sapiente, ma anche le abbondanti preparazioni ripiene come la cima alla genovese o il cappon magro.

Che sia una farinata di ceci, una freschissima insalata di mare o dei pansoti conditi con salsa di noci, il Cinque Terre DOC riesce a dare il meglio di sé quando “gioca in casa“: torte salate, acciughe, ma anche pesci al forno e primi piatti a base di crostacei.

Un vino ligure e la sua cucina: l’abbinamento cibo-vino ideale.

Cinque Terre

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Greco di Tufo

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Greco di Tufo

Dagli Aminei ai Campani, il vino del Mediterraneo

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DOVE CI TROVIAMO

Dal Vesuvio all'Irpinia

Il Greco di Tufo è un vino squisitamente campano, e più in particolare della provincia di Avellino. L’Irpinia, questa terra così ricca e allo stesso tempo fragilissima (basti ricordare il tragico terremoto del 1980), è forse meno conosciuta di quanto dovrebbe.

È in questo caso il vino che la mette in giusta luce, disegnando una sorta di itinerario ideale che unisce gli appena otto comuni nei quali il disciplinare autorizza la produzione del vino Greco di Tufo DOCG: Tufo, Altavilla Irpinia, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina, Torrioni.

Un territorio di media collina, che non supera i 650 m. s.l.m. e con caratteristiche pedoclimatiche eccellenti, particolarmente nella presenza di argilla, nelle temperature miti e nella facile disponibilità di risorse idriche.

Insomma, si può dire: l’Irpinia è perfetta per il Greco di Tufo, e il Greco è perfetto per l’Irpinia.

 

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LE DENOMINAZIONI

Bianco o spumante?

Tra i pochissimi bianchi che rende meglio con un lungo invecchiamento, il Greco di Tufo è piuttosto semplice nella sua variazione produttiva.

Le uve vengono infatti vinificate solo in due modi: Greco di Tufo Bianco DOCG e Greco di Tufo spumante DOCG.

Entrambi denominazioni dell’avellinese, si contraddistinguono ovviamente dalla diversa vinificazione e dalla resa finale. Tutte le specificità sono regolate fin nei minimi dettagli nel disciplinare 130/1970, uno dei più antichi ancora in vigore nel mondo enologico italiano.

Tanto il Bianco quanto lo Spumante sono prodotti con il solo ricorso alle uve Greco e Coda di Volpe, in percentuale 85-15% e con una resa alcolometrica che non supera il 12%.

Vini di qualità, hanno colore giallo paglierino persistente, odore caratteristiche e sapore armonico, con note sapide tipiche di un terreno così fortemente mineralizzato e ricco di nutrienti.

LE UVE

Greco e Coda di Volpe

Come dicevamo poco fa, sono solo le uve Greco Coda di Volpe che fanno il vero Greco di Tufo. Due bacche bianche, che sono inserite da tempo immemore nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite.

Il Greco, simile all’Aspirinio Bianco, risale addirittura ai tempi della Roma imperiale, quando era coltivato alle pendici del Vesuvio. A sua volta deriverebbe dall’Aminea gemella, un’uva importata dalla Grecia che lo stesso Virgilio racconta nelle Georgiche

La Coda di Volpe è invece oggetto della narrazione di Plinio il Vecchio, che ne certifica la presenza – anch’essa – sulle sponde del Vesuvio tra le righe della Naturalis Historia. In passato era maggiormente coltivata la variante a bacca nera, mentre oggi si preferisce la bianca.

CURIOSITÀ

Qualche cenno storico

Intorno all’VIII secolo, i Tessalonicesi abbandonarono la zona di Salonicco (Grecia) a causa dei cambiamenti climatici, trasferendosi dapprima in Calabria e poi in Calabria.

Qui trovarono il terreno fertile adatto per l’Aminea Gemina (o Gemella) uva bianca che tra le sue caratteristiche più particolari aveva quella di crescere in grappoli gemelli, ovvero accoppiati tra di loro.

Per tutta la durata dell’Impero Romano, il Greco di Tufo (che prende il nome dall’omonimo comune dell’attuale provincia di Avellino) fu il vino preferito dagli scrittori, che lo servivano durante banchetti e convivi. 

Mai realmente dimenticato, nel corso del Novecento questo vino campano si è guadagnato la DOCG e una certa attenzione sul panorama nazionale e internazionale.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Se spumantizzato, il Greco di Tufo è un vino irrinunciabile per accompagnare aperitivi e antipasti, ma anche momenti di semplice convivialità e meditazione.

Le sue note sapide, ma anche la piacevole freschezza (è ovviamente doveroso servirlo a temperature piuttosto basse) lo rendono adatto all’introduzione o alla conclusione del pasto.

Se si sceglie il più tradizionale Greco di Tufo Bianco DOCG, questo darà il meglio di sé con le specialità di pesce della cucina campana e non solo, come gli scialatielli alla pescatoria, le linguine ai ricci di mare o l’immancabile spaghetto alle vongole veraci e pomodorini.

Si adatta perfettamente anche ai secondi di pesce, magari ai calamari o ai frutti di mare, poiché non ne sovrasta il sapore ma anzi lo valorizza.

Una chicca: provatelo con una freschissima Mozzarella di Bufala Campana DOP. Imperdibile!

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Vermentino di Gallura

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Vermentino di Gallura

Il vino della Sardegna più autentica

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DOVE CI TROVIAMO

Le 'spiagge del buon bere'

Terra delle spiagge più belle d’Italia, degli antichissimi Nuraghi e delle Domus de Janas, ma anche del Vermentino di Gallura.

Non possiamo che parlare della Sardegna, e più precisamente del suo quadrante nord-orientale, dove si produce un vino dalla fama consolidata nel corso del tempo.

L’areale di produzione è contenuto alla sola provincia di Sassari, in quella terra storica della Gallura che ha come caratteristica principale la presenza di terreni granitici di bassa collina, e comunque entro i 500 metri di altitudine.

Olbia, Arzachena, La Maddalena: la Costa Smeralda è gallurese, la Gallura è la Costa Smeralda. Un brindisi a un’isola straordinaria, anche grazie ai suoi vini.

 

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LE DENOMINAZIONI

Dalla Ribona ai Colli Maceratesi

Il Vermentino di Gallura è qualificato, dal 2011, con la Denominazione di origine controllata e garantita.

Il massimo riconoscimento comunitario per i vini viene però ottenuto solo da chi rispetta il rigido disciplinare e produce una delle sei varianti di questo vino.

Il disciplinare è stato modificato più volte nel corso dell’ultimo trentennio (1996, 2001 e 2010) e ha introdotto specifici criteri di carattere produttivo e geografico, in particolare per armonizzare la riorganizzazione territoriale delle province della Sardegna.

È possibile infatti produrre Vermentino di Gallura in modalità tradizionale, oppure in queste varianti:

  • Superiore, con almeno il 95% di uva Vermentino
  • Frizzante, caratterizzato da un perlage più persistente con bollicine fini ed evanescenti
  • Spumante, attraverso il processo di spumantizzazione detto a “metodo classico”
  • Passito, a fermentazione più lunga e tono alcolico alto (fino a 15%)
  • Vendemmia tardiva, realizzato con uve raccolte dopo una surmaturazione di almeno 3 settimane
 
LE UVE

Dal Mediterraneo al bicchiere

L’uva Vermentino è prevalentemente bianca, ma in alcuni casi la bacca diviene rossa.

È tipicamente mediterranea, essendo coltivata con successo in Sardegna, Liguria, Piemonte, oltre che in Corsica e nella Francia continentale. Nelle due regioni italiane appena citate viene chiamata, rispettivamente, Pigato e Favorita. 

Dal Vermentino si ricavano vini piacevolmente morbidi e aromatici, dai toni paglierini, perfetti da abbinare alla cucina di mare delle terre di provenienza.

CURIOSITÀ

Qualche cenno storico

La coltivazione delle uve in Sardegna allo scopo di produrre vino è storicamente accertata molto prima del periodo Romano. 

Fonti accreditate fanno risalire al 1400 a.C. le tracce di vino conservate in otri recuperate presso siti archeologici dell’Alta Sardegna, in Gallura e non solo. Si tratterebbe di una delle espressioni dell’industria alimentare dell’epoca nuragica, alla quale risalgono cioè i celebri monumenti a pianta circolare che arricchiscono il panorama sardo.

Il Vermentino, inteso nella forma attuale di questa uva, parrebbe invece essere stato introdotto nell’isola durante la dominazione spagnola, e comunque tra il Quattrocento e il Settecento. 

Nel 1877 ne è accertato l’uso come uva da tavola, secondo quanto riporta il conte di Rovasenda, mentre non è chiaro quando avviene la sua trasformazione in uva da vino. Parimenti poco chiara è l’origine di questo vitigno, che però parrebbe provenire dal Medio Oriente.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Una cucina straordinariamente semplice e complessa allo stesso tempo, quella sarda, che richiede un approccio scevro da condizionamenti e idee pregiudizievoli.

Se infatti i sapori dell’entroterra sono decisamente forti, grazie alla presenza di carni suine e formaggi molto stagionati, i piatti della Gallura e della cultura marinara in genere si adattano bene all’abbinamento con il Vermentino di Gallura DOCG, vino ricco di essenze e di profumi floreali.

È chiaramente favorito nell’abbinamento con menù di pesce, partendo dall’immancabile antipasto di crudità di mare, passando per gli spaghetti alla bottarga di muggine, proseguendo per le grigliate di pesce. 

Rende bene anche con carni bianche e preparazioni essenziali, specialmente con coniglio e pollame.

Vermentino di Gallura abbinamenti
Vermentino di Gallura

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Colli Maceratesi

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Colli Maceratesi

La tradizione enologica delle Marche

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DOVE CI TROVIAMO

Tra le colline più belle d'Italia

Siamo abituati a pensare che sia la Toscana la regione italiana dove le colline hanno una rilevanza, paesaggistica e turistica, maggiore.

Eppure anche le Marche, che solo qualche anno fa sono state scelte dal sindacato dei pensionati americani come “meta dove ritirarsi”, hanno il loro patrimonio ambientale di grandissimo valore.

Colli Maceratesi in particolare, dove si produce l’omonimo vino si caratterizzano per la bellezza del territorio. Questa denominazione ha un areale ben definito, che include l’intera provincia di Macerata e Loreto, che si trova nella provincia di Ancona.

È un territorio variegato ed eterogeneo, dove le acque del Mar Adriatico riscaldano un territorio che è protetto dalle alte vette appenniniche dei Monti Sibillini.

 

La Quercia Scarlatta_4

LE DENOMINAZIONI

Dalla Ribona ai Colli Maceratesi

Il vino Colli Maceratesi a Denominazione di Origine Controllata viene prodotto con una massima parte di Ribona, o vitigno Maceratino.  Che si tratti della tipologia base o delle varianti spumante, l’uva non cambia. 

È invece il Sangiovese a prendere il posto della Ribona per le varianti in rosso. In totale, sono dieci le varianti generalmente riconosciute, di cui sei vinificate in bianco e 4 in rosso. 

I vini Colli Maceratesi si suddividono come segue:

  • Bianco: Colli Maceratesi bianco, Colli Maceratesi bianco passito, Colli Maceratesi bianco spumante, Colli Maceratesi Ribona, Colli Maceratesi Ribona passito, Colli Maceratesi Ribona spumante
  • RossoColli Maceratesi rosso, Colli Maceratesi rosso novello, Colli Maceratesi rosso riserva, Colli Maceratesi rosso Sangiovese
LE UVE

Un'uva secolare

La coltivazione dell’uva Maceratino (o Ribona che dir si voglia) avviene nella zona di Macerata e Ancona ormai da secoli, con alcuni “sconfinamenti” nella provincia di Ascoli Piceno.

Chiamato a volte anche “greco”, conosce oggi una certa riscoperta, nonostante la preponderante affermazione del Verdicchio come vino rappresentativo delle Marche.

L’uva Ribona ha grappoli grandi con acini stretti, medio-grandi, ottima resa finale e uno spiccato profilo aromatico, dai toni floreali e agrumati.

CURIOSITÀ

Qualche cenno storico

Il Colli Maceratesi è un vino che ha goduto nel tempo di alterne fortune, ma è solo nell’ultimo mezzo secolo che la sua storia, ampiamente più lunga, si è mostrata in tutta la sua evidenza.

Per lungo tempo è stato infatti considerato un “parente” del Greco, ma ricerche a livello biologico hanno dimostrato una certa somiglianza con il Verdicchio, con il quale condivide la regione di provenienza.

La denominazione di origine controllata risale soltanto al 1975, con il nome di “Bianco dei Colli Maceratesi”, da cui deriva il “Colli Maceratesi” di oggi (per includere anche le varianti rosse).

Dal 1995 a oggi, anno di registrazione nel catalogo nazionale, la superficie coltivata a Ribona impiegata per i Colli Maceratesi è progressivamente cresciuta, dopo un periodo nel quale era quasi scomparsa. Si tratta complessivamente di 200 ettari, valorizzati da consorzi locali e da coraggiose cantine che vogliono tornare a produrre un vino aromatico, sapido e adatto ad accompagnare la sapida cucina marchigiana.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Ribona? Due volte buona! Quest’uva, dalla quale si ricava il vino Colli Maceratesi DOC, è un’ottima rappresentazione della ricchezza delle Marche. In una regione dove i sapori sono decisi e trionfano ricette piene di sapore, non poteva mancare un vino delicato e intenso allo stesso tempo.

È perfetta come vino da tavola, ma può anche essere servita per un aperitivo originale, dove si vogliono valorizzare al meglio le specialità del territorio. Tra queste sicuramente i salumi marchigiani, come il ciauscolo IGP, il salame Fabriano o il prosciutto di Carpegna DOP.

Adattissimo all’abbinamento con il pesce, il Colli Maceratesi può dunque essere la scelta più giusta per accompagnare crudités di pesce, primi piatti con frutti di mare e fritture di paranza.

Per i secondi piatti, le ricette da preferirvi sono il pollo in potacchio, lo stoccafisso all’anconetana e, sempre dal capoluogo regionale, le sfiziosissime triglie impanate. 

 

ciauscolo
colli maceratesi

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Refosco

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Refosco

Il gioiello autentico del Triveneto

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DOVE CI TROVIAMO

Friuli e non solo

Il Refosco è un vino tradizionalmente associato all’omonimo vitigno del Triveneto, che prende il nome dall’espressione locale “ràp fosc”, che significa grappolo scuro.

Tipico dell’Italia di Nord-est, è oggi prodotto in Friuli Venezia Giulia e Veneto, su una superficie complessiva di poco inferiore ai 1300 ettari, per una produzione complessiva che raggiunge i novantamila ettolitri

Le zone nelle quali si produce il Refosco sono caratterizzate da spazi pianeggianti o collinari, con climi generalmente mediterranei e buone escursioni termiche durante l’arco della giornata.

CENNI STORICI

Otto vini in purezza

Con le uve refosco dal peduncolo rosso refosco nostrano vengono prodotte ben otto referenze a denominazione di origine controllata (DOC), ovvero le seguenti:

Vini Refosco prodotti in Friuli-Venezia Giulia

  • Friuli Colli Orientali DOC
  • Friuli Isonzo DOC
  • Friuli Annia DOC
  • Friuli Grave DOC
  • Friuli Latisana DOC
  • Friuli Aquileia DOC
  • Friuli DOC

Vini Refosco prodotti in Friuli-Venezia Giulia e Veneto

  • Lison-Pramaggiore DOC

Vini Refosco prodotti in Veneto

  • Bagnoli di Sopra DOC
  • Merlara DOCrefos
Come si produce

L'origine dell'uva Refosco

Secondo la tradizione, il Refosco dal peduncolo rosso sarebbe una varietà autoctona, presente sul territorio italiano sin dall’antichità.

Ne parla infatti già Plinio il Vecchio, descrivendo la qualità del vino che se ne ricava. Nuovi accenni letterari si ritrovano in Francesco di Manzano nel 1390, quando – recuperando antiche fonti romani – ricorda come il Refosco fosse il vino preferito da Augusto e Livia.

Solo da pochi anni, studi biologici hanno accertato una origine ampelografica comune tra il Refosco e il Marzemino, tipico di San Michele all’Adige.

CURIOSITÀ

Com'è fatto il Refosco?

Prevalentemente in Friuli, la coltivazione delle vigne a Refosco avviene sia in ambienti collinari che pianeggianti.

Quest’uva ha infatti bisogno di calore e sole diretto, fattori che influiscono nella qualità finale del vino che se ne ricava. L’uva ha una vendemmia piuttosto avanzata, ma nonostante ciò è poco resistente e tende – nei primi mesi autunnali – a deperire piuttosto facilmente.

Se ne ricava per questo un vino fortemente colorato, dalle note molto scure e nel quale prevalgono sia una acidità rilevante che sentori di prugna e mandorla.

Sin dagli anni Ottanta del Novecento si è favorita l’introduzione della fermentazione malolattica, ovvero quella che deriva dalla trasformazione dell’acido malico in acido lattico e anidride carbonica. È una tipologia produttiva piuttosto nuova che, a livello chimico (naturale), permette di ottenere vini molto ricchi in corpo e morbidi, molto adatta per questo ai rossi ma in progressiva diffusione anche tra i bianchi.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Il Refosco è un vino di struttura con una certa rilevanza al palato, che con la sua acidità ha una importanza di rilievo per la costruzione dell’aspetto organolettico.

Per questi motivi, e anche al fine di valorizzare i tradizionali abbinamenti enogastronomici della zona, se ne raccomanda l’accompagnamento in tavola con piatti e ricette piuttosto importanti, come ad esempio la selvaggina e la cacciagione: un ottimo secondo piatto da servirvi insieme è il cueste cu li verzis, ovvero le costine di maiale con le verze.

Sicuramente rende bene anche con altre ricette friulane come il frico (una sorta di frittata di formaggio, tipica della Carnia) o con il muset e brovade (cotechino e brovada, cioè rape ridotte in strisce sottili e macerate nelle vinacce).

Se si vuole accompagnare il Refosco a un immancabile tagliere di formaggi, vanno sicuramente favoriti quelli di malga, ricchi di sapore e semistagionati, come ad esempio il Montasio o il Fagagna. In questo caso, si può aggiungere alla charcuterie board anche una selezione di salumi locali: immancabili, tra questi, lo speck friulano e il prosciutto di Sauris, dal tono più consistente di quello di San Daniele del Friuli (più dolce).

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Bagnoli Friularo

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Bagnoli Friularo

Il figlio del Raboso del Piave

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DOVE CI TROVIAMO

Il padovano nel bicchiere

La produzione del vino Bagnoli Friularo è legata da sempre a un piccolo territorio della provincia di Padova.

Secondo il disciplinare, i comuni nei quali è ammessa la produzione del Friularo sono Agna, Arre, Bagnoli di Sopra, Battaglia Terme, Bovolenta, Candiana, Due Carrare, Cartura, Conselve, Monselice, Pernumia, San Pietro Viminario, Terrassa e Tribano.

Il Friularo di Bagnoli Classico può invece essere prodotto unicamente a Bagnoli di Sopra.

Si tratta di un territorio a forte vocazione enologica, caratterizzato da clima ventilato, con buona escursione termica e picchi di temperatura estiva ridotti. 

Bagnoli Friularo

CENNI STORICI

Un vino romano

Il Bagnoli Friularo non è un vino recente: pare infatti, secondo fondi accreditate, che già durante la dominazione di Roma queste terre fossero ricche di vitigni. Del resto, tutti i terreni dell’Impero dovevano soddisfare l’ampia richiesta di vino che veniva dall’Urbe.

Il Friularo di Bagnoli (nella sua variante Classica, ma non solo) viene citato con questa denominazione per la prima volta nel 1774: se ne accerta la grande qualità e, di conseguenza, anche l’ampia richiesta che viene fatta quando ancora il territorio è sotto il controllo diretto della Serenissima.

Se la denominazione di origine controllata è meno recente, la concessione della DOCG a questo vino ha meno di dieci anni: risale infatti al 2011.

Oggi, nonostante non sia considerato uno dei vini più rappresentativi dell’enologia veneta, il suo valore viene sempre più apprezzato anche a livello nazionale e internazionale.

Come si produce

Quali vini?

La produzione del Bagnoli Friularo – che si ottiene con almeno il 90% di Raboso Piave e il 10% di altre uve a bacca nera di origine veneta – è suddivisa in quattro tipologie:

  • Bagnoli Friularo DOCG (anche riserva e vendemmia tardiva)
  • Bagnoli Friularo DOCG classico
  • Bagnoli Friularo DOCG passito
  • Bagnoli Friularo DOCG classico passito

Per ciascuna tipologia è previsto un affinamento in botte dai 12 ai 24 mesi (per le riserve 24 mesi, di cui 12 in botti di legno e 12 in botti di acciaio).

bagnoli di sopra

CURIOSITÀ

Un vino che merita attenzione

Come molti rossi, anche il Bagnoli Friularo DOCG ha un profilo intenso e una struttura importante, che meritano una certa attenzione sia in fase produttiva che degustativa.

Il territorio del padovano, protetto dai vicini Colli Euganei e per questo climaticamente più accessibile, permette la produzione di uve decisamente resistenti, che crescono in grappoli molto compatti: è anche uno dei segreti della sua resistenza e del risultato finale.

La vendemmia del Raboso Piave è estremamente tardiva, e spesso arriva anche a fine novembre. Ne deriva un vino dalle lunghe attese, che ha un titolo alcolometrico molto alto (generalmente tra i 14 e 15%vol), un colore rosso intenso con riflessi rubescenti, un gusto caldo ma non alcolico né invadente.

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Il Bagnoli Friularo, l’abbiamo appena detto, è un rosso strutturato che viene servito sulle tavole dei mesi autunnali e invernali, quando le basse temperature e i focolari accesi ci invitano a una convivialità fatta di sapori decisi e intensi, capaci di rinfrancare lo spirito e il corpo.

Un vino che non può per questo abbinarsi alle tavole estive, né essere proposto in abbinamento a piatti poco complessi o leggeri, come antipasti o pesce: rischierebbe, con il suo tannino e con la persistenza della beva, di celare senza valorizzare ogni possibile portata che si alterna sulla tavola.

Per questi motivi, è facile suggerire una collocazione dell’abbinamento con un tagliere di formaggi locali, preferibilmente stagionati o molto stagionati: Asiago d’Allevo, Montasio, fino all’Imbriago (un tipo di formaggio che viene lasciato stagionare con il mosto d’uva o il vino).

Immancabili sono le carni rosse: da servire sulla brace, portare in tavola sotto forma di arrosti e stufati, magari con l’irrinunciabile compagnia della polenta. Per i primi piatti sono da preferirsi timballi o lasagne, ma anche delle pappardelle con cacciagione e ragù.

 

formaggi
Bagnoli Friularo

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Grignolino

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Grignolino

L'eccellenza del Piemonte

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DOVE CI TROVIAMO

I colli del buon bere piemontese

La produzione del vitigno Grignolino è storicamente legata alla regione Piemonte, e in particolare alle zone dell’Astigiano, dell’Alessandrino e del Monferrato Casalese.

Nonostante ciò il suo areale di produzione è lievemente più ampio e include anche parte del cuneese e, uscendo dal Piemonte, l’Oltrepò Pavese (Lombadia).

Territori favorevolissimi all’enologia e alla coltivazione del vino, nei quali ritroviamo caratteristiche pedoclimatiche specifiche, che vanno dall’ampio irraggiamento alle buone escursioni termiche. 

Queste contribuiscono ad alcune delle caratteristiche specifiche di un vitigno troppo spesso considerato “secondario”, ma che ha molto da offrire.

APPROFONDIMENTO

Le caratteristiche del Grignolino

Il Grignolino è un vitigno a bacca nera, che si presenta con dettagli ampelografici specifici, a partire dalla foglia medio-grande di forma pentalobata o meno spesso trilobata.

I grappoli sono compatti e di dimensioni medie, piramidali con al massimo due ali per ciascun grappolo. In questo ritroviamo degli acini medio-piccoli, di forma ellissoidale con buccia sottile di colore blu scuro tendente al nero.

Si tratta di un vino dal buon tannino, di colore tuttavia leggero nella resa finale: è forse un po’ blando come rosso, ma non certo poco originale. Per dargli maggior corpo viene addizionato con Barbera e Freisa, altri vitigni di zona, che ne aumentano sia l’intensità che l’equilibrio.

Parliamo dunque di un vino di facile beva, caratteristica non scontata per i rossi, che possiamo gustare anche come vino da aperitivo e che può essere servito a temperature più basse rispetto ai grandi rossi del Piemonte.

Come si produce

Quali uve?

L’Uva Grignolino predilige climi secchi e ha una maturazione generalmente media o tardiva, con i grappoli che vengono allevati nella tradizionale controspalliera.

I vini Grignolino sono prodotti generalmente o con il 100% di uva Grignolino o con alcuni blend. Nel caso del Grignolino del Monferrato Casalese, il disciplinare della DOC permette l’aggiunta – entro il 10% del peso complessivo – di uva Freisa. Lo stesso accade con il Grignolino d’Asti, il Piemonte Grignolino e il Piemonte novello Grignolino.

Il Grignolino viene anche usato, ad esempio, per addizionare il Barbera del Monferrato Superiore (al massimo il 15% del peso)

CURIOSITÀ

Vini e vinaccioli

Perché il Grignolino ha questo nome così originale? Secondo le fonti etimologiche più accreditate, deriverebbe dalle grignòle, ovvero i vinaccioli nel dialetto di Asti.

Cosa sono i vinaccioli? Molto semplicemente, si tratta dei semi che troviamo negli acini dell’uva. Per alcuni compagni scomodi quando si mangia l’uva da tavola, sono invece un elemento fondamentale nella vinificazione delle uve.

Il vinacciolo, infatti, non è velenoso e non procura effetti collaterali, anzi. La presenza, al suo interno, dell’olio di vinaccioli e dei polifenoli contribuisce al miglior rilascio delle sostanze organolettiche del vino, particolarmente le protoantocinanine, le catechine e il tannino.

Una curiosità interessante: i tannini, presenti nella frutta (particolarmente in buccia e semi), alterano le proteine della saliva e reagiscono con le proteasi (sostanze presenti nell’apparato gastrointestinale). In questo modo, alterano il senso di fame pur intervenendo sull’appetito. È per questo motivo che i nutrizionisti raccomandano di evitare il consumo della frutta in corrispondenza dei pasti.

 

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Il Grignolino, l’abbiamo detto in precedenza, è un rosso decisamente sui generis poiché ha caratteristiche che lo rendono assimilabile quasi più ai rosati che ai suoi “colleghi” piemontesi dal colore intenso.

Un rosso dalla beva meno persistente, più leggero e per questo molto più facile da adattare nell’abbinamento cibo-vino, poiché può espandere il suo areale potenziale a molte delle prelibatezze della fu cucina sabauda.

Due sono gli abbinamenti tradizionali in tavola del Grignolino, quelli al quale ogni buon astigiano non rinuncerebbe:

– La Muletta, un salume tradizionale piemontese prodotto con carne suina pepe e spezie e realizzato in una forma tozza, vagamente circolare e con un sapore deciso

– Gli agnolotti, primo piatto delicato che si abbina alle note aromatiche del Grignolino senza però soverchiarle

È un vino che in ogni caso rende bene anche con le carni bianche, con dei piatti a base di funghi, financo con il pesce e con la pizza.

 

Grignolino

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