Vino cotto: che cos'è e come si produce

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DOVE CI TROVIAMO

Il tesoro dell'Adriatico

La preparazione del vino cotto è tipica delle Marche e dell’Abruzzo, regioni dove ancora oggi si conserva un fortissimo legame storico-ambientale con il territorio.

È per mantenere viva una tradizione che risalirebbe addirittura ai Romani che si realizza questa particolare variante di vino che viene realizzata nelle province di Ascoli Piceno, Fermo, Macerata e Ancona. 

Tra le zone dove la tradizione del vino cotto è più forte troviamo la sfortunata località di Arquata del Tronto, quasi completamente distrutta dal terremoto del 2016: qui per la produzione si impiegavano le uve di Zibibbo e Moscatello. La scelta in ogni caso varia tra bianchi e rossi, che andremo a scoprire in seguito.

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PRODOTTI E PRODUZIONE

Una storia antichissima

Il primo autore a parlare in maniera chiara e apprezzabile del vino cotto è Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis historia, ma gli fa eco il coevo Lucio Giunio Moderato Columella nell’opera De re rustica.

Durante l’epoca romana il vino, già ampiamente presente nelle civiltà mediterranee egizio-elleniche, non è servito come lo conosciamo oggi ma viene piuttosto addolcito e addizionato con spezie e frutta, per accompagnare i gusti diversi dei contemporanei di Plinio.

Sulle tavole dei nobili e dei politici dell’epoca il mosto cotto è servito in tre modi diversi, a seconda del grado di evaporazione della parte liquida, che da il nome al caroenum, al defrutum e alla sapa. Quest’ultima esiste ancora oggi nelle Marche (ma anche in Emilia, Umbria, Puglia e Sardegna) e ha una consistenza sciropposa, fortemente zuccherina: viene servita in piccoli bicchieri di vetro e, secondo Pellegrino Artusi, era addirittura data ai bambini in inverno che mischiandola alla neve ne ricavavano un sorbetto fuori stagione.

Il vino cotto compare di nuovo nel Rinascimento, alla corte papale di Paolo III, e successivamente nell’Ottocento, quando se ne trovano tracce produttive nel teramano, più precisamente tra i comuni di Bisenti, Cermignano e Basciano.

Come si produce

Quali uve?

La produzione di vino cotto viene fatta in maniera alternata sia con uve bianche che nere, a seconda del risultato finale che si vuole ottenere che della zona di produzione.

In generale sono preferite dai pochi produttori che ancora lo realizzano la Malvasia e il Montonico (Acquasanta Terme), il Pecorino, il Moscatello e lo Zibibbo (tra Marche e Abruzzo, nella zona più appenninica), ma anche uve più celebri come il Sangiovese, il Montepulciano e il Galloppa.

CURIOSITÀ

Come si produce il vino cotto?

Quella del vino cotto è una lavorazione che, con alcuni aggiustamenti, non ha subito vere e proprie trasformazioni nel corso dei secoli. Certo ora esistono macchine industriali, ma il “metodo classico” è quello che andremo a descrivere a breve.

Una volta effettuata la vendemmia, le uve vengono schiacciate per ottenere il mosto che viene trasferito in un caldaro, ovvero il tradizionale pentolone di rame. Al suo interno, insieme all’uva, si aggiunge anche un pezzo di ferro “nudo”, che evita il trasferimento del rame del prodotto in soluzione.

La cottura prosegue fino a far ridurre il mosto di un terzo o della metà, e a seconda del risultato che si vuole ottenere la soluzione può essere addizionata con delle mele cotogne. A fine cottura, quando il mosto è freddo, viene fatto fermentare nei caratelli di rovere. La fermentazione si conclude col trasferimento nelle botti che conservano il vino cotto più vecchio, che aiuterà la trasformazione del prodotto. 

L’equilibrio – molto difficile da raggiungere e riservato a mani esperti – tra vino nuovo e vecchio permette di evitare l’ossidazione e mantenere il tono alcolico, il sapore dolce e fruttato e il grado alcolico abbastanza alto (14% circa).

ABBINAMENTO CIBO-VINO

Dall'antipasto al dolce

Non è un vino che si porta in tavola tutti i giorni, e per questo l’abbinamento cibo-vino del vino cotto va fatto con particolarissima attenzione, con il fine ultimo di valorizzare sia ciò che si beve che quello che si mangia.

Benché nulla vieti un consumo come vino “da pasto”, è forse una soluzione che rende poca giustizia a questa prelibatezza delle cantine, che meglio accompagna il fine pasto.

Lo si serve infatti al meglio se abbinamento con la pasticceria secca tipica del Centro Italia, come i cantucci, i dolci a base di mandorla, le ciambelline al vino (le famose mbriachelle laziali). 

Se si vuole azzardare qualcosa di più originale può essere una valida ipotesi quello di provarlo accanto a dei formaggi stagionati, magari caprini, che abbiano un sapore intenso e una struttura di rilievo, che viene ammorbidita proprio dalla dolcezza del vino cotto.

In alcuni casi diviene un vino da cucina, magari per valorizzare dei dolci a base di pesche, oppure nell’impasto dei biscotti o per arricchire un brasato o un arrosto: anche in questo caso, è la cucina locale che detta la linea.

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